Vorrei, farei, penserei. Inizia sempre così, carico di buoni propositi, bacini e finte smancerie ogni capitolo del nuovo anno. Ci convivi forzatamente per un po’ – giusto quei 364 giorni – e infine lo mandi candidamente a quel paese ogni 31 dicembre.
Quest’anno, caro gennaio del 2023, ho volutamente iniziato a scriverti tardi proprio per vedere se:
a) fino a che punto avrei gonfiato la mia testa di buoni propositi e aspettative
b) fino a che punto avrei retto con questo focus mentale
c) fino a che punto mi avresti ampiamente delusa
E quindi, eccoci qui, a fine mese a vedere che cosa è successo. In ordine sparso mi ero ripromessa di leggere di più (finora male); camminare di più (mi difendo con 5km al giorno); polemizzare di meno (difficilissimo); guadagnare di più (no comment).
Perché tutta questa aspettativa da un mese che – poverino – non ci ha fatto niente? Un mese che ha tra le sue colpe solo quello di essere freddo, piovoso, un mese di riflessione forzata su tutti i dilemmi esistenziali e ultimo ma non meno importante, anzi direi, drammatico aspetto – un mese con ben cinque lunedì.
Il nome gennaio, dal latino ianuarius deriva da Ianus, dio romano Giano, la divinità che in generale rappresentava ogni forma di passaggio e mutamento (porte, ponti, passaggi ed effettivamente gennaio è il mese che apre le porte del nuovo anno). Solitamente raffigurato con due volti Giano Bifronte è conosciuto per essere il dio che può guardare il futuro ma ha sempre uno sguardo anche al passato.
Insomma, un destino ingrato quello di gennaio perché vive nell’indecisione: “Mi si nota di più, se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” (Ecce Bombo di Nanni Moretti).
Ebbene caro gennaio, davvero, con tutto il candore che possiedo e chiaramente senza rancore: vuoi gentilmente salutare il tuo pubblico, uscire di scena e portarci direttamente a febbraio?
Grazie!